HÖSTSONATEN è uno dei molteplici progetti di Fabio Zuffanti, musicista genovese di area progressiva.
E’ da poco uscito
l’album The rime of the ancient
mariner, Charter One, la cui lunga
“gestazione” -l’idea risale al 1995- è perfettamente spiegata da Fabio stesso
nelle righe a seguire.
Siamo di fronte alla
trasposizione musicale del poema di Samuel
Taylor Coleridge, iniziata e in parte proposta in due album datati 1996 e
1998 (HÖSTSONATEN e MIRRROGAMES), e ritenuta
al tempo insoddisfacente, e quindi momentaneamente accantonata. La voglia di
follow up si è manifestata nel 2011, e probabilmente non esiste una ragione
particolare che sostiene la decisione… certe cose si materializzano
senza necessità di ricerca, semplicemente si capisce che è arrivato il
momento giusto.
Coleridge descrive
una storia molto lineare ma, raccontando le eccezionali avventure di un
uomo di mare nel corso di un suo drammatico viaggio, delinea attraverso
allegorie il percorso di una vita comune a molti, stimolando riflessioni che
riguardano tutto il genere umano, oggi come due secoli fa.
Il poema è diviso in
sette parti è in questo Charter One ne compaiono quattro, oltre al prologo,
mentre le restanti tre, e l’epilogo, troveranno spazio nell’uscita del 2013.
La sommaria
descrizione di questo nuovo/vecchio lavoro
di Zuffanti è per me cosa complicata, perché il mio gradimento personale
potrebbe intaccare l’oggettività con cui dovrei trattare l’argomento. Da tempo
ho smesso di cercare i canoni ufficiali della qualità musicale, essendo certo
che sia poco importante trovare regole universali, e arrivando a stabilire una
sorta di equazione che porta a
far coincidere la buona musica con le emozioni che essa provoca, ovvero una
reazione positiva ad uno stimolo fatto di ritmi, note ed atmosfere.
Musicare The rime… è stata cosa, credo, estremamente
complicata, e questo sì, è fatto oggettivo.
Trovare musicisti
adeguati - non parlo di capacità tecniche ma interpretative- è stato, credo,
altresì difficile, ma Zuffanti ha trovato la perfetta fermatura della boucle,
passando oltretutto il testimone a differenti vocalist, che forniscono una
prova straordinaria.
Ma il sunto è una
musica che, se fosse stata scritta nella prima parte dei seventies,
sarebbe ora una piece significativa della musica progressiva, magari accanto a Nursery Cryme, Fragile e Pawn Hearts. Nascere nel posto
giusto al momento giusto, sembra retorica, ma è fondamentale per determinare il
nostro destino.
Dal punto di vista
emozionale, cioè quello che realmente apprezzo, The rime… lascia il segno, riportando ad un
disegno sinfonico, trionfale e sognante che si alterna alla poesia e a voci
“penetranti”. Conoscere il contenuto della “ballata”, seguire il testo e
ascoltare l’album è una possibile chiave di lettura che permette di entrare in
completa sintonia con l’opera. Di più... avere tra le mani la splendida
copertina, opportunamente aperta, favorisce l’unione dell’elemento visivo che,
unito a liriche e suoni, dona un senso di estrema completezza e consente un
piccolo transfert che può durare l’intero album.
E’ sempre poco
simpatico il ricorrere a modelli di riferimento passati, ma mi piace
sottolineare il mood che mi ha accompagnato nell’ascolto, perché mi ha
riportato d’abord a qualcosa che provai molti lustri fa quando,
ascoltando Nursery Cryme,
arrivò il momento di Seven
Stones.
Capisco perfettamente
- e lo invidio- Fabio Zuffanti quando racconta di aver pianto in un determinato
momento del riascolto della sua creazione, tale era la bellezza dell’
idea, divenuta fatto concreto. Lo comprendo perché ho provato a seguire la sua
strada e anche io mi sono quasi commosso: cosa si dovrebbe chiedere di più ad
una musica!?
Rock sinfonico,
musica progressiva… chissà quante denominazioni si possono coniare per questo
album! Io, dilungandomi, direi… musica che scuote gli animi e
provoca scosse a catena nei più sensibili, anche in quelli che si ritengono
immuni da certe reazioni, ritenute erroneamente ”debolezze”.
La proposizione in
chiave live non sarà semplice, come Fabio spiega, ma penso dovrebbe essere
l’obiettivo primario, un progetto itinerante che, ovviamente, va a cozzare con
le attuali logiche che regolano il mondo della musica e della società in
generale; il sogno di Zuffanti di portare l’opera oltre confine, laddove certa
musica trova forse maggiore apprezzamento, è legittimo e auspicabile.
Il mio sogno è invece
quello di vedere aperte, meglio se spalancate, le porte delle scuole e
dei luoghi deputati al trasferimento della cultura, spazi in cui ben pochi
sanno dell’esistenza di HÖSTSONATEN,
e forse, anche per loro, trovarsi al posto giusto nel momento giusto potrebbe
fare la differenza.
Musica imperdibile!
Fabio Zuffanti
approfondisce…
A: Torniamo
indietro di qualche anno. Che cosa ti indusse, nel ’95, a dedicarti alla
trasposizione di “The rime…”, qual è l’aspetto che ti ha portato a
pensare che, proprio quel poema, avrebbe dovuto avere una vita arricchita dalla
musica?
F: Comincio col dire
che la scoperta da parte mia del poema di Coleridge risale alla metà degli anni
ottanta, nello specifico nel momento dell’uscita di un album degli Iron Maiden
che conteneva una loro versione iper-concentrata dell’opera. Questo mi spinse
ad approfondire e mi ritrovai a leggere estasiato le fantastiche (in tutti i
sensi) liriche del poema. Chi ha avuto la possibilità di leggere tali pagine si
sarà sicuramente accorto della grandissima musicalità intrinseca della quale le
parole sono dotate. Quando qualche anno dopo pensai al materiale da inserire
nel primo album di Höstsonaten (1996) presi quindi a lavorare proprio su una
mia versione della prima parte di “The rime…”. Musicai solo tale sezione
perché il poema è assai lungo (il tutto consta di sette parti) e già costruire
un impianto sonoro su quella, fece scaturire un pezzo di oltre dodici minuti.
Decisi quindi, per non occupare troppo spazio nel disco, di musicare una
sezione per volta da inserirle negli album a venire. Cosa che feci in
realtà solo per il successivo “Mirrorgames” (1998) che contiene la
seconda parte.
A livello
compositivo la prima parte di “The rime…” mi fece un effetto
incredibile. Ricordo ancora molto bene il pomeriggio d’estate nel quale questo
pezzo venne alla luce perché è un momento che si è fissato in maniera
indelebile nel mio cuore. Mi misi seduto con il libro di Coleridge aperto e la
chitarra in mano e semplicemente cominciai a suonare e a canticchiare le parole
del testo. Le melodie e gli accordi cominciarono a scaturire in una maniera
così fluida come solo poche volte ho sperimentato. Non vorrei essere
presuntuoso ma quello che venne fuori è secondo me una delle mie più belle
composizioni e l’emozione che mi diede il crearla è un qualcosa che mi diede
una spinta incredibile a livello di soddisfazione personale. Avevo già composto
qualche pezzo per i Finisterre, ma con la prima parte di “The rime…”
sentii che quello che stava uscendo fuori era veramente qualcosa di speciale,
uno di quei momenti rari in cui ti senti realmente toccato dalla grazia.
Ricordo che fissai tutto su una cassettina ove eseguivo in maniera più che
approssimativa la struttura di base del pezzo, poi andai in spiaggia e mi
portai il walkman per risentire il lavoro. Ogni volta che arrivavo all’ascolto
della melodia della parte finale “At lenght did cross an Albatross…” mi
salivano le lacrime... Penso tutt’ora che sia probabilmente la più bella
melodia da me composta.
Le parti vocali
della prima e della seconda parte furono affidate al mio collaboratore Claudio
Castellini, dotato secondo me di una bellissima voce, quasi “preraffaellita”,
che evocava scenari molto antichi di natura letteraria.
A: Che cosa non ti
convinse delle due parti che realizzasti nei primi due album di Hostsonaten, visto che abbandonasti il progetto?
F: Purtroppo a mio
avviso la registrazione delle due parti (e dei due dischi che le contenevano)
non diedero loro la passione e la potenza che pensavo dovessero emanare.
Inoltre dopo “Mirrorgames” cominciai a dedicarmi al progetto sulle
quattro stagioni, così misi nel congelatore il discorso su “The rime…” e
decisi di continuarlo appena terminato il ciclo delle stagioni. Detto fatto, lo
scorso anno, al termine del lungo progetto “Seasonscycle Suite” durato
quasi 10 anni, ho ripreso in mano il poema di Coleridge e l’ho continuato,
stavolta decidendo di dedicare al tutto due dischi completi e, tanto che c’ero,
ri-registrare le prime due parti per rendere loro giustizia.
A: Che tipo di
maturazione personale, o culturale in genere, ti ha portato a riprendere in
mano il progetto? C’è la possibilità di una tua maggior identità rispetto al
messaggio centrale proposto alla fine dal vecchio marinaio (il pregare per
tutte le creature della natura perché amate da Dio)?
F: Quello che mi
affascina maggiorante del poema di Coleridge è la sua natura onirica e un po’
allucinata. Sono un grande appassionato dell’opera di H.P. Lovecraft e in
“The rime…” ritrovo molte delle atmosfere care allo scrittore americano.
Il mare, i suoi abissi e i suoi misteri, le presenze sovrannaturali che
sembrano quasi provenire da antiche civiltà pre-umane. Questo mi ha ispirato
gran parte delle musiche che infatti hanno spesso un atmosfera tesa e dark. Il
messaggio finale che citi è il punto d’arrivo dopo tanta oscurità e mi ispira
tantissimo a livello musicale perché adoro i finali maestosi e positivi, dopo
tanto delirio.
A: L’opera è divisa in
sette parti, ma l’album che ho ascoltato ne contiene quattro mentre per le
restanti occorrerà attendere una prossima uscita prevista per il 2013. Senza
conoscere i dettagli sembra apparentemente strano la frammentazione di un
lavoro omogeneo, e una conseguente uscita in tempi differenziati. Puoi
illuminarmi?
F: Certamente. Come
ti ho detto il poema è formato da sette parti e in ognuna il testo è assai
lungo, penso che questo sia l’album più “verboso” che io abbia mai realizzato.
Chiaramente è stato inevitabile, anche se ho cercato qua e là di inserire delle
parti strumentali che potessero lasciare un po’ di tregua alla continua
esposizione vocale. Se avessi musicato anche le restanti tre parti sarebbe per
forza di cose venuto fuori un album doppio omogeneo ma forse anche un po’
stancante da ascoltare per intero. Ho quindi deciso di dividere il lavoro in
due parti da pubblicare separatamente, per lasciare un po’ di acquolina in
bocca a chi ascolta, per non rendere troppo faticoso l’ascolto e anche per
permettermi, nel secondo capitolo che verrà, di modificare e un po’ lo stile, i
musicisti e cantanti coinvolti e aggiungere elementi che nel primo cd non sono
entrati. Sono molto curioso di vedere cosa uscirà fuori, visto che non ho
ancora composto una nota per il nuovo album.
A: Su cosa ti sei
basato per la scelta dei differenti vocalist?
F: Il lavoro sulle
le parti vocali è stato tutt’altro che semplice. Chiaramente è sulla centralità
di tali parti che è basato l’intero lavoro quindi ho sentito una grande
responsabilità per operare le giuste scelte. All’inizio avevo pensato di
rendere il tutto come fosse un’opera rock affidando a varie voci diversi personaggi.
In realtà gran parte della narrazione è affidata solo al vecchio marinaio
quindi avrei avuto una sola voce che cantava per l’ottanta per cento e varie
altre impegnate in piccole sezioni. In ogni caso pensare ad una sola voce ad
interpretare l’intero testo mi sembrava un po’ troppo impegnativo e monolitico
per chi ascolta, già abbiamo una sovrabbondanza di testo, se in più il tutto
fosse stato interpretato da un solo cantante sarebbe stato ancora più pesante
da digerire, secondo me. Ho quindi optato per affidare le quattro parti a
diversi vocalist. Per alcuni sono andato sul sicuro scegliendo i miei fidati
collaboratori Simona Angioloni (Aries), Alessandro Corvaglia (Maschera Di Cera)
e Carlo Carnevali (R.u.g.h.e.), mente ho affidato i due pezzi più “heavy” alle
potenti voci di Davide Merletto (in forza ai Daedalus, valente metal-prog band
genovese) e Marco Dogliotti (che, tra le altre cose, canta in una cover band
dei Deep Purple). Alla fine sono molto soddisfatto delle mie scelte e credo che
tutti si siano divertii ad interpretare le sezioni che ho affidato loro.
A: Cosa hai previsto
per la diffusione del progetto in fase live? Esistono piani in tal senso?
F: Portare dal vivo
un disco come questo è tutt’altro che semplice, in primis perché per rendere il
tutto ci vorrebbero almeno 11 persone sul palco tra musicisti e cantanti e poi
perché, si sa, al momento gli spazi per i concerti organizzati in un certo modo
sono praticamente impossibili da trovare. Detto ciò per presentare l’album sto
organizzando degli showcase ove saranno presenti volta per volta, a secondo
delle loro disponibilità, alcuni dei musicisti e cantanti che vi hanno
partecipato. Si faranno quattro chiacchiere con un presentatore e suoneremo in
versione unplugged qualche estratto dal cd. In questi giorni sto organizzando
le prime date che presto ufficializzerò, dovrebbero essere già certe il 13
maggio a Savona (Van Der Graaf Pub), 19 maggio a Genova (Record Runners store)
e 27 Maggio a Chiavari (venue da decidere). Altre date seguiranno a giugno.
Sarebbe bellissimo
in ogni caso cercare di organizzare almeno un concerto “vero” in grande stile,
magari in qualche teatro. Vedremo. Vedremo anche come vanno le cose per
l’estero. In Giappone il cd è uscito in una versione speciale solo per tale
mercato, con bonus disc allegato. Una visitina nel paese del sol levante a
conseguenza di ciò sarebbe quindi molto gradita, se per una volta decidono di
invitare anche un gruppo “giovane” invece che sempre e solo reduci degli anni
Settanta...
Note ufficiali…
Il progetto di Fabio Zuffanti per Hostsonaten è basato sul famoso poema di Samuel Taylor Coleridge The rime of the ancient mariner.
Zuffanti concepisce l'idea di dedicarsi ad una trasposizione musicale del poema
già nel 1995. Le prime due parti appaiono infatti nei primi due album di
Hostsonaten (Hostsonaten, 1996 e Mirrorgames,
1998), ma la realizzazione di queste non ha mai soddisfatto pienamente il
compositore genovese che decide quindi di lasciare il progetto in sospeso. Nel
2011, al termine della fortunata tetralogia sulle stagioni Seasoncycle suite, Fabio decide di
riprendere in mano il lavoro su The
rime… e portarlo a compimento.
Il progetto sarà articolato in due cd: il primo, uscito nel 2012, contiene il
prologo e le prime quattro parti dell'opera; il secondo è previsto per il 2013
con le restanti tre parti e l'epilogo. Per quello che riguarda il primo cd le
due parti già realizzate sono state ri-registrate interamente. Le parti
vocali delle quattro parti sono state affidate a quattro diversi cantanti che
hanno cercato di esplorare, interpretare e restituire all'ascoltatore le
emozioni oscure e sognanti del poema di Coleridge. L’album è uscito su
etichetta AMS Records. I musicisti che hanno accompagnato Fabio sono quelli
fidati che lo hanno seguito nella sua avventura delle stagioni, ovvero Maurizio Di Tollo (batteria), Luca Scherani (tastiere) e Matteo Nahum (chitarre), Sylvia
Trabucco (violino), Joanne Roan (flauto).
Le voci che hanno
interpretato le quattro parti di 'The
rime of the ancient mariner - Chapter one' sono:
Part I: Alessandro
Corvaglia (La Maschera di cera), con un cameo di Carlo Cralo Carnevali
(R.u.g.h.e.)
Part II: Davide
Merletto (Daedalus)
Part III: Marco Dogliotti
Part IV: Simona
Angioloni (Aries), con un cameo di Alessandro Corvaglia
Tutti gli
aggiornamenti sul progetto li potrete trovare sul Facebook di Zuffanti
e in quello
di Hostsonaten
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