mercoledì 19 dicembre 2012

"The rime of the ancient mariner" al Teatro Verdi


Era il mese di maggio quando l’ultimo progetto di Fabio Zuffanti veniva presentato ufficialmente a Savona.
HÖSTSONATEN - The rime of the ancient mariner, Charter One, nasce molti anni prima, ma per la maturazione perfetta occorre sempre aspettare il momento giusto, e quando si parla di qualità e di ricerca della perfezione il fattore tempo è solo uno dei tanti aspetti con cui occorre fare i conti, ma non il più importante.
Qualche mese fa raccontavo così il mio sentimento post ascolto:


Il 16 dicembre, The rime…” è diventato ancora qualcosa di diverso, un contenitore di cui essere orgogliosi, e oggi ha trovato ulteriore conferma quella mia affermazione che evidenziava l’importanza di nascere al posto giusto nel momento giusto, tesa a sottolineare cosa avrebbe potuto suscitare un’ opera teatrale simile  - perché è questa l’evoluzione - se fosse stata messa in scena quarant'anni fa.
La location scelta per il debutto è il Teatro Verdi di Sestri Ponente, Genova, spazio che fa registrare un grande numero di presenti, non solo provenienti dal mondo del prog. E in effetti lo spettacolo non aveva i presupposti dell’elitarietà, essendo riassunto di arti differenti: musica, canto, danza, recitazione, immagini e colori, il tutto sotto l’attenta regia di Susanna Tagliapietra.
Band schierata in buona verticalità, per fornire ampio spazio ai tredici ballerini  -  e quattro vocalist - con l’unica eccezione, Luca Scherani, mago delle tastiere, posizionato a fondo palco.
Ma le magie colorate di vintage di Scherani hanno avuto un buon ausilio in termini di sezione archi/fiati per merito del flauto di Joanne Roan e del violino di Sylvia Trabucco, protagoniste in punta di piedi.
Sezione ritmica composta da Zuffanti e Mau Di Tollo, con Simone Ritorto alla chitarra elettrica.
Caratteristica dell’opera è l’utilizzo di quattro differenti vocalist che aiutano nella presentazione dei  quattro momenti narrativi.
Alessandro Corvaglia, Marco DogliottiGiammarco Farnè e Simona Angioloni,
The rime of the ancient mariner” è la trasposizione musicale del poema di Samuel Taylor Coleridge, e molto sarebbe andato perso se non fosse intervenuta una sorta di narrazione in lingua italiana, legame tra i vari blocchi musicali. Ma il canto in lingua inglese era d'obbligo.
Tutto è sembrato perfetto, emozionante, sintesi di ciò che si vorrebbe sempre vedere on stage, e per lunghi attimi mi è parso di tornare indietro nel tempo… potere della musica!




Inutile sottolineare i meriti del singolo, perché è il team teatrale che ha funzionato, e la soddisfazione dipinta sul volto di Fabio Zuffanti, a fine spettacolo, era la somma di mille sfaccettature, non tutte dichiarabili.

Le mie personali riflessioni mi hanno portato nel campo dell’educazione: ogni scuola che si rispetti dovrebbe avere la possibilità di vedere eventi del genere, comparandoli e decidendo se è bene sondare se esistono alternative al quotidiano.
Ho anche pensato che “The rime…” dovrebbe essere itinerante, pur essendo conscio delle difficoltà realizzative.
Mi sono poi chiesto se l’album” The rime…”, dopo un risultato simile, possa essere proposto come concerto a se stante, rinunciando a tutto ciò che al Verdi si è dimostrato essenziale.
Per questi piccoli-grandi quesiti esisteranno già alcune risposte e quindi attendiamo fiduciosi.
Grande spettacolo, e grande contributo tecnico da parte di Alessandro Mazzitelli e Rox Villa.

Poco prima dell’inizio del concerto, mentre ero in coda in biglietteria, un uomo anziano si è avvicinato al botteghino e ha chiesto quale film andasse in onda nel pomeriggio. Delusione sul suo volto alla scoperta che nessun movie sarebbe stato proiettato. Peccato, con un po’ più di coraggio avrebbe vissuto attimi indimenticabili… 
Fotografie di Enrico Rolandi

venerdì 9 novembre 2012

Incontro con Fabio Zuffanti


Articolo tratto da MAT2020 di gennaio 2013

Incontro con Fabio Zuffanti

Iperattività non significa automaticamente efficacia… molteplicità di progetti non è garanzia di qualità… critica ad un sistema in cui si è scelto di navigare per la vita sembrerebbe poco saggio. Chissà quanti nemici si è fatto Fabio Zuffanti nell’ultimo quadrimestre! E chissà quanti amici si è fatto!
Non voglio in questa sede parlare del suo book di denuncia “o Casta Musica”, su quell’argomento mi sono pubblicamente espresso a caldo, ventiquattrore dopo averlo letto, replicando poi in occasioni successive. Però, conoscendo a poco a poco Fabio, mi sono fatto l’idea che ogni sei mesi occorrerebbe … interrogarlo, e certamente salterebbero fuori cose che all’appuntamento precedente non esistevano minimante, e  inoltre  molto diverse tra loro, in bilico tra Maschera di Cera, Finisterre, Hostsonaten… e chissà cos’altro.
Mi sono innamorato di “The Rime…”, e spero vivamente di poter essere presente il 16 dicembre alla rappresentazione live, al Teatro Verdi di Genova. Ma  Hostsonaten è solo una delle tante facce di Fabio Zuffanti, inventore di nuove situazioni in ristretti spazi temporali.
A Fabio sta stretta la nicchia, ma vive di prog, che quasi autocelebra la propria dimensione di elite. Io sono realmente convinto che lo sforzo da compiere sia quello di trovare la giusta direzione ed un  mezzo adatto alla diffusione, e una volta trovate queste condizioni, al cospetto di certa musica, i giovani sensibili, che probabilmente sono la maggioranza, potrebbe riconsiderare il loro contenitore musicale, immaginandolo pieno di tante cose, tutte interessanti, da utilizzare in momenti diversi, a seconda dello stato d’animo. Discorso lungo, certamente non retorico, e MAT2020 viaggia in quella direzione.
Ma facciamo il punto con Fabio…

Ci siamo lasciati sul palco in Val Curone, a fine luglio scorso, parlando del tuo book di denuncia, “O Casta Musica”. Me ne racconti l’evoluzione, sia dal punto di vista dei commenti che da quello delle vendite?
Il libro è uscito nelle librerie solo da poche settimane quindi forse è ancora un po' prematuro tirare le somme, sopratutto a livello di vendite (anche se le prime 100 copie in anteprima messe in vendita lo scorso Giugno si sono volatilizzate in poco tempo). Posso però dire che almeno l'80% delle recensioni fin qui uscite è più che ottimo, che ci sono chiaramente alcune lecite critiche e che attendo le varie presentazioni che l'editore sta cercando di organizzare in giro per l'Italia per tastare il polso della situazione e capire se i miei discorsi hanno suscitato riflessioni positive o solo fastidio.

Torno ancora un attimo al passato. Era il mese di maggio quando presentammo assieme il tuo ultimo progetto “Hostsonaten”, l’album “The Rime of the Ancient Mariner”. Che tipo di impatto ha avuto sul pubblico?
Il cd è stato un grande successo, a livello di vendite e critica. “The rime of the ancient mariner” è un disco d'impatto che contiene molte bellissime voci, una musica dalla forte componente emotiva e probabilmente ha un suo particolare appeal anche a livello “commerciale” (se è lecito usare tale termine nel mondo del rock progressivo). A parte i riscontri io sono più che soddisfatto e felice della scelta intrapresa; credo che un altro disco strumentale “modello 4 stagioni” non avrebbe rappresentato nessuna evoluzione. In questo modo invece ho fatto un passo indietro (come sai la prima versione di due pezzi di “The rime...” risale a metà anni novanta)  per compierne due in avanti, a tutti i livelli. Realizzato il disco avevo un gran voglia di portalo dal vivo ma invece di lanciarmi in situazioni (tipo locali et similia) che poco avrebbero avuto a che fare con l'impatto e la teatralità che il lavoro richiede ho preferito attendere un attimo ulteriori sviluppi e per intanto concentrarmi su una serie di presentazioni in semi-acustico di parte del lavoro. Abbiamo realizzato quindi tre di questi showcase a Savona, Genova e Milano con ottimi risultati.

Mi parli del concerto del prossimo 16 dicembre, targato “Hostsonaten”,  e del progetto DVD?
Come ti ho appena detto ho preferito non lanciarmi in concerti veri e propri e attendere la giusta situazione per presentare “The rime...” in una veste adeguata. L'occasione è arrivata tramite Susanna Tagliapietra, regista teatrale genovese impegnata spesso in musical di successo (Aida, Jesus Christ Superstar, ecc...) che conosco da anni ma con la quale non era mai capitato di potere collaborare. L'occasione di “The rime...” ha fornito lo spunto per mettersi a tavolino e cercare insieme un incontro tra la musica e il teatro nella rappresentazione dell'opera poetica di Coleridge. Tramite Susanna abbiamo proposto il lavoro a un ottimo teatro genovese (il Verdi di Sestri Ponente) che ha gradito il progetto e lo ha messo in cartellone per il prossimo 16 dicembre (qui si può vedere la pagina del teatro dedicata a “The rime....”: http://www.teatroverdigenova.it/teatro/stagione/tutta-la-stagione/23-musical/141-t-m). In queste settimane stiamo allestendo quindi il tutto e Il 16 dicembre alle ore 16 lo proporremo con musica dal vivo, videoproiezioni, scenografie, danza e teatro. Il disco sarà inoltre in alcune parti riarrangiato e arricchito di nuovi interventi musicali. Sono molto emozionato dalla cosa e spero che il pubblico ci supporti riempiendo il teatro. Dopo “Merlin – The rock opera” del 2000 avevo voglia di misurarmi con un nuovo progetto musical-teatrale e lo spunto è stato quello giusto. A differenza di “Merlin”, del quale sfortunatamente non esistono filmati professionali (mio grande cruccio al quale un giorno vorrei rimediare), in questo caso mi sono attrezzato da subito perché la rappresentazione (per ora unica, per il  futuro vedremo se ci saranno proposte) sia ripresa professionalmente e registrata per far si che dalla serata possa scaturire un DVD ufficiale.

Tra le tue molteplici attività, che conduci in parallelo, ce n’è una importante  relativa a “La Maschera di Cera”. Pare ci siano grosse novità in proposito. Mi racconti qualcosa?
Beh, sì, per quello che riguarda MDC stiamo per varare un progetto molto importante, forse il più importante della nostra carriera. Purtroppo al momento non posso fornire maggiori dettagli, ma il nuovo album sarà una sorta di summa del lavoro degli ultimi dieci anni e rappresenta il nostro totale - e forse definitivo - omaggio alla stagione dorata del prog italiano. L'unica particolarità che posso anticiparti è che del disco sarà disponibile un'edizione cantata in italiano e una in inglese, cosa mai sperimentata prima dalla MDC, ma che ci ha dato grandi soddisfazioni.

All’interno del tuo sito si evidenzia un  coinvolgimento come direttore artistico della Mirror Records, me ne puoi parlare?
Mirror è parte del gruppo di etichette facenti capo a BTF e fin'ora si è occupata di ristampare alcuni cd che vedono il mio coinvolgimento (Hostsonaten “Mirrorgames” e i primi tre MDC). All'inizio di quest'anno ho ricevuto da BTF la proposta di occuparmi di Mirror anche in virtù di produzioni di nuove band. Il mio coinvolgimento è nelle vesti di direttore artistico, ovvero colui che segue un gruppo sin dal demo che mi viene proposto e che successivamente in studio di registrazione impartisce direttive nelle scelte dei suoni, del mix e della produzione generale. Non sono un direttore artistico al quale piace stravolgere le strutture delle canzoni, piuttosto mi piace indirizzare i gruppi nella scelta delle atmosfere, evidenziando poi in fase di missaggio le cose che credo sia giusto vengano a galla. Ho notato negli ultimi anni una gran quantità di prog un po' fine a se stesso, senza reali guizzi, inventiva o semplicemente elementi che possano solleticare realmente le emozioni dell'ascoltatore. Nelle produzioni Mirror cerco di fare uscire dai gruppi tali elementi per far si che il disco possa essere completo, interessante e sopratutto emozionante. Non solo un coacervo di cambi di tempo senza capo ne coda. Per il resto il mio collaboratore Rox Villa nello studio Hilary di Genova si occupa di fornire la giusta qualità di registrazione (oltre a molti suggerimenti “tecnici”) per confezionare al meglio il tutto. Le prime due produzioni Mirror saranno il disco di Oxhuitza, progetto del chitarrista Luca Bassignani che propone una sorta di prog-psichedelico-zappiano con influenze fusion e gli Unreal City (che entreranno in studio a gennaio), fautori di un prog sinfonico “alla vecchia maniera” pieno di spunti interessanti. Sottolineo una cosa per concludere, sono ben lieto di ricevere da chiunque del materiale da ascoltare e valutare ma il mio scopo con Mirror è la produzione di gruppi che vogliano realizzare con il mio (e di Rox) aiuto il disco da zero, non band che mi propongano un lavoro finito e da pubblicare. Per quello il mio consiglio è di rivolgersi ad altre etichette, tutti gli altri possono inviare info e links a mirror@zuffantiprojects.com

Pochi giorni fa abbiamo assistito ad una significativa celebrazione dei Genesis, a Genova, con la presenza di Steve Hackett, e con concerto finale dei Real Dreams del tuo amico Alessandro Corvaglia, che hanno riproposto la vecchia “scaletta Genesis” di 40° anni fa, suscitando un certo entusiasmo. Conoscendo il tuo pensiero sulle cover band ti chiedo… ci sono occasioni - come quella di Genova -  in cui un tributo può assolvere con efficacia a un preciso compito assegnato?
Ripeto quello che ho detto qualche giorno fa in un'altra intervista; è vero che in generale sono contrario a questo tipo di espressione musicale ma ci sono cover band e cover band. Un conto è riproporre il repertorio di Vasco o Ligabue, per il quale bastano e avanzano gli originali, un conto è fare opera di riscoperta ed “educazione musicale” tramite la musica di gruppi che per un motivo o l'altro non sono più in attività. Ben vengano quindi situazioni come quella di Genova (alla quale ero presente). Certo, se devo proprio dirla tutta, vedere il teatro strapieno mentre ai concerti di tanti validi nuovi gruppi prog troviamo 50 persone al massimo mi ha messo un poco tristezza. Se tutta la gente che accorre in ogni luogo si pronunci la parola “Genesis” avesse voglia di seguire anche il gran numero di gruppi che continua il discorso del rock progressivo magari le cose sarebbero diverse. Concludo facendo i miei più sentiti complimenti agli organizzatori che ha messo su un tam-tam promozionale molto professionale ed efficace, sperando che in futuro abbiano voglia, con le stese armi pubblicitarie, di organizzare anche eventi meno basati su cover e omaggi.

Partendo dalla tua condivisibile posizione sviscerata in “O Casta…”, ti sembra che ci siano margini per vedere un mondo musicale che lentamente cambia, dando più spazio alla qualità e meno all’apparenza/appartenenza
Non è semplice, e non solo per questione di discografici, stampa, radio e tv. Il problema è più profondo ed è nelle persone. Le stesse che magari vanno a vedere un tributo e poi se ne fregano di tutta la “nuova” ondata progressiva italiana, come dicevamo prima. Le persone ormai sono assuefatte a considerare importanti di deafult solo certi gruppi, che magari ascoltavano da giovani oppure hanno sentito per anni alla radio, e se ne fregano bellamente di andare a cercare qualcosa di diverso. Questo è lo strapotere pazzesco che determinano radio e tv. Tutto il grande movimento prog dei primi anni settanta è diventato così importante in Italia anche perché le poche radio passavano in continuazione LP interi di formazioni appartenenti al genere, chiaro che così conquisti il cuore della gente. Ma per le formazioni attuali come si fa? Come si fa a entrare nel cuore della gente? E non parlo di massa che ascolta Vasco, parlo semplicemente di quei 300 che riempiono il teatro per vedere Steve Hackett. Radio e tv passano solo la solita roba, internet non è ancora così potente quindi non se ne esce. Molto fastidioso l'atteggiamento di chi dice che devi essere fiero di fare parte di una nicchia, col cavolo! Io vorrei cercare di fare in modo che la mia musica diventasse importante quanto quella del passato, se me ne danno la possibilità. Dove è scritto che solo dal 1969 al '74 il prog debba avere avuto il suo momento di fortuna? Perché le cose non possono tornare? Chi dice che ormai è una moda passata non ha capito nulla e ha una mentalità limitata alla porzione di tempo nel quale vive. Ma per fortuna nel il nostro pianeta tante cose sono arrivate, sparite, tornate, anche a distanza di molto tempo. E ancora tantissime cose devono cambiare o tornare, non c'è nulla di assoluto o immodificabile. In base a questo ragionamento nulla vieta che un giorno il prog non ritorni alla ribalta seriamente ma ci vorrà opera di diffusone da parte dei media e una mentalità aperta da parte del pubblico per capire che il prog non è si è fermato agli anni settanta e di compositori bravi quanto e magari anche più di Tony Banks ce ne sono ancora in giro e tanti altri ne possono nascere.

Analizza la tua storia musicale, dalle origini ad oggi, e disegna un diagramma delle soddisfazioni … quale il picco più alto e quale il momento di massima caduta?
Se diagramma deve essere io lo vedo come una linea che partendo da zero (e per zero identifico il 1994, anno di uscita del primo Finisterre) si sposta lentamente, con fatica ma inesorabilmente verso l'alto. Questo per dire che ogni giorno mi riserva soddisfazioni in più rispetto al giorno prima. Credo di avere compiuto un cammino, di avere imparato molte cose e che quindi le soddisfazioni si facciano più concrete anno dopo anno. Tra il 2011 e il 2012, tanto per parlare di “picco più alto”, ho completato la tetralogia delle stagioni che avevo iniziato nel 2002, è uscito il mio album solo “La foce del ladrone” che mi ha fatto conoscere anche presso un pubblico non strettamente prog, alcune mie musiche sono finite in spot e in trasmissioni televisive, è uscito “The rime...” che considero una delle mie vette e che ora sta per debuttare in teatro, “Ombra della sera”, bellissimo esperimento in compagnia di Mau di Tollo e Ago Macor, il mio primo libro, che per quanto tutt'altro che perfetto ha gettato un sasso ponendo domande che molti avevano smesso di porsi, ho assunto le vesti di direttore artistico di un'etichetta, sta per uscire il nuovo MDC che reputo una bomba assoluta a tutti i livelli... Se vogliamo parlare di “picchi bassi” dobbiamo andare molto indietro, giusto all'inizio del diagramma, negli anni tra il 1994 e il 1998, quando ho realizzato, con Finisterre e Hostsonaten, una serie di dischi che, per quanto tutt'ora molto apprezzati, continuano a non soddisfarmi a livello di impatto sonoro. Sono infatti molto attento alla qualità della registrazione dei lavori nei quali sono coinvolto e quei primi dischi purtroppo non riesco più ad ascoltarli tanto è il male che mi fanno alle orecchie.

Un paio di mesi fa, un importante musicista della scena genovese, stabilmente nella capitale da molti anni, mi raccontava come sia davvero difficile lavorare a Genova, di come sia a volte impossibile trovare la chiave di accesso per aprire delle porte che in altri luoghi appaiono aperte. E’ davvero così complicato vivere di musica nella tua città?
Vivo a Genova dalla nascita quindi onestamente non sarei in grado di dire se altrove la situazione è migliore. Certo, Genova è un città difficile da molti punti di vista ma io ho imparato col tempo a “snobbarla” un po' come lei snobba me. Nel senso di non dare più di tanto peso al fatto di essere seguito, conosciuto o considerato a Genova ma muovermi, grazie sopratutto a internet, cercando spazi altrove. Infatti paradossalmente – ma questo capita a tutti i musicisti della mia area – sono più conosciuto a Tokyo che non nella mia città. C'è da dire comunque che la stima nei miei confronti da parte dei miei concittadini non manca, che conosco molte persone che svolgono una bella attività di promozione concerti e che quando suono dalle mie parti e non posso dire di trovarmi male. L'unica cosa che manca è magari un poco di attenzione in più, non tanto per me ma più che altro per situazioni che esulano dal solito cantautorame (che comunque non è che se la passi molto meglio del prog al momento) o dalle cover e tributi. Detto ciò io amo la mia città, amo perdermi nelle sue atmosfere e nei suoi luoghi incantevoli; tutti i riconoscimenti del caso se devono venire verranno altrimenti vivrò bene lo stesso.

La descrizione dei tuoi progetti sembrerebbe annullare la mia solita domanda relativa al futuro immediato, ma… esiste qualcosa di “enorme”, il vero sogno nel cassetto, che un giorno vorresti realizzare?
In tempi recenti sto vivendo in maniera un poco più rilassata ma ho passato gli ultimi dieci anni pensando quasi unicamente a lavorare alla mia musica, mentre tante persone mi dicevano puntualmente… “beato te che nella vita non fai un tubo!”. Zitto, a testa bassa e concentrato. Con pochissimi soldi in tasca, componendo quasi ogni giorno, facendo dischi su dischi, da solo o in gruppo, lavorando in studio o davanti al computer per giornate intere. Cercando contatti, mandando miliardi di email e stando ore in coda alla posta per spedire tonnellate di pacchettini con cdr e curriculum a giornali, musicisti, addetti ai lavori e chi più ne ha più ne metta. In tutto questo tempo ho seguito tre direttive principali: 1. MAI lamentarsi 2. Credere SEMPRE nelle proprie possibilità 3. Cercare di sopravvivere. Tutto questo per dirti che non sto aspettando nulla di “enorme”, l'enormità per me è cercare ogni giorno di andare avanti facendo musica. Tutto quello che di positivo può venire da questo verrà di conseguenza, se la linea del diagramma continua a salire.



giovedì 5 luglio 2012

Presentazione di "O Casta Musica" in Val Curone



All’interno del  Val Curone Music Festival, manifestazione di cui parlerò in altro post, si è trovato spazio per la presentazione del libro di Fabio Zuffanti  “O Casta Musica”, in uscita ufficiale a settembre, ma già presente sul mercato con cento copie promozionali.
Le mie considerazioni del post lettura sono visibili al seguente link:


Un’ora e mezza di esposizione, con interventi del pubblico e degli addetti ai lavori, hanno stimolato le riflessioni tra persone che non possono che condividere in larga parte il contenuto del book, ma lo sforzo che occorre fare - e può essere questo il sunto della discussione - è quello di pubblicizzare e diffondere il più capillarmente possibile l’oggettività della situazione relativa alla musica in Italia, nella speranza che tante piccole azioni singole possano perorare la causa del cambiamento culturale di cui tutti abbiamo bisogno.

Uno stralcio dell’esposizione… assolata.


venerdì 18 maggio 2012

Presentazione “ The Rime of ancient mariner”



Domenica 13 maggio ha avuto inizio la serie di presentazioni del nuovo progetto di Fabio Zuffanti/ HOSTSONATEN,  The Rime of ancient mariner”, trasposizione musicale del poema scritto da Samuel Taylor Coleridge.
Luogo scelto per lo start up, il savonese Van Der Graaf  Pub di Fabrizio Cruciani.
Per sapere qualcosa in più dell’album è possibile consultare il sito ufficiale di Fabio e una pagina contenente un mio precedente giudizio:



Il commento finale di Zuffanti semplifica la serata: “ Non molti spettatori, ma buonissimi!”.  Il “non molti” è caratteristico, purtroppo, delle cose che riguardano la musica di qualità, ma l’occasione meritava davvero e alla fine era palese la soddisfazione di tutti, musicisti e spettatori.
L’incontro nasce come mix tra musica e parole, con domande/risposte intervallate da interventi musicali per un totale di circa un’ ora.
La parte finale del locale è stata nell’occasione trasformata in palco, con lo schieramento di  un set di strumenti che hanno permesso una sorta di esibizione elettroacustica: la tastiera di Alessandro Corvaglia, il basso di Zuffanti, la chitarra acustica di Simone Ritorto, il microfono per i differenti cantanti  e per il narratore Carlo Carnevali.
The rime Chapter One” prevede la presenza di quattro vocalist, e tre di loro si sono esibiti al VDG: Alessandro Corvaglia, Marco Snao Dogliotti e Simona Angioloni. Voci molto differenti tra loro ma incredibilmente belle, e con una grande resa all’interno di un set sulla carta minore rispetto all’originale, ma di forte impatto.
Il pubblico ha sottolineato ad ogni passaggio un notevole gradimento, arrivando ad unirsi ad un coro ufficiale, di facile presa.
Significativo anche l’interesse generale e l’interattività, con Alberto Sgarlato che, in prima fila, ha sciorinato un paio di domande interessanti, alternandosi  al conduttore ufficiale della serata.
Trovo che l’aspetto didascalico fornito dalle parole di chi ha creato e successivamente proposto sia estremamente interessante, e penso debba essere una strada da perseguire anche sul palco, in fase di reale concerto… a volte qualche semplice parola può dare informazioni interessanti per chi vive la musica con passione.
Come sottolineavo, grande resa musicale in un piccolo spazio.
L’obiettivo a medio termine è ovviamente quello di presentare la sontuosa opera per intero, su di un palco maggiore, ma non penso sia da abbandonare l’idea del set acustico e ristretto, anzi, andrebbe aumentato il tempo di performance perché è una formula che, con una  preparazione minima, garantisce un risultato notevole.
Alla fine il bis è arrivato in via naturale, e poi un altro, e poi un altro ancora.

Ma la voglia di proseguire la serata era palpabile e il compito di “guidare” è stato affidato a Corvaglia che ha tirato fuori dal cilindro una trepassiana “The Knife”, assieme a  Zuffanti, per poi passare al “suo”-e non solo “suo”- capolavoro prog, “And you and I” dei sempre amati YES.

“The rime”  è davvero un gran disco, e ascoltarlo in un contesto … familiare, a mio avviso ha esaltato certi dettagli che solo la performance live può regalare, e poco importa il luogo e la sua dimensione.
Ma sono certo che arriverà anche il momento in cui HOSTSONATEN riuscirà a proporre l’intera opera con il gruppo al completo, e se tanto mi da tanto… non mancheranno le emozioni.

A seguire un’esemplificazione filmata del mio pensiero sulla serata e su HOSTSONATEN.

mercoledì 9 maggio 2012

Concerti a Cicagna (Finisterre Tempio delle Clessidre)


FOTO DI ENRICO ROLANDI( cliccare sulle immagini per ingrandire)



Non conosco il paese di Cicagna, in Val Fontanabuona, nell’entroterra genovese, ma ora almeno  so che esiste un bellissimo teatro con oltre 330 comodi posti ( Teatro di Cicagna), utilizzato per le manifestazioni più disparate, con un focus sull’elemento teatrale:

Un lavoro intenso e quotidiano, non senza alcune delusioni legate al rapporto impegno/presenze, situazione che si può sopportare solo grazie ad un’enorme passione dello staff tecnico del teatro che, con estrema tenacia, propone cultura e arte, in forme differenti.
Tra le tanti rappresentazioni artistiche c’è ovviamente la musica, uno degli amori di Sergio ed Enza, rispettivamente Direttore Organizzativo e Artistico.
Seguendo quindi questo impulso, sabato 5 maggio si è potuto assistere ad un doppio concerto, Finisterre e Tempio delle Clessidre.
Un centinaio di persone rappresentano sempre un buon pubblico, di questi tempi, anche se il nome degli artisti on stage, la qualità -e la quantità- della proposta, autorizzavano a sperare in qualcosa di più … sostanzioso. Ma questa amara considerazione vale ormai per ogni luogo e per ogni musicista che sia portatore onesto di “musica sana”. 
Aprono i Finisterre, che non avevo mai avuto la possibilità di vedere dal vivo. 
Conosco personalmente Fabio Zuffanti, bassista/compositore dalle mille idee, garanzia di originalità e di impegno musicale, ed è stato piacevole scoprire questo lato live di un progetto che, nato nel lontano ’94, è tornato a galla lo scorso anno dopo una pausa significativa. A questo proposito, diceva Fabio poco tempo fa: “ … Suonare dal vivo in questi anni è diventato sempre più difficile e i Finisterre hanno risentito di ciò perdendo un po’ quella linfa vitale che permette ad un gruppo di musicisti di lavorare insieme…”.
La “linfa vitale” è stata ritrovata, almeno a giudicare da ciò che ho visto ed ascoltato.
Sul palco un sestetto (doppio tastierista-pianoforte, tastiere e synt-, percussionista, oltre a chitarra, basso e batteria) che ha riproposto frammenti di storia, dalle origini ai lavori più recenti.
Composizioni molto articolate con repentine  variazione di tempi e di  atmosfere, in alcuni casi vere mini suite basate sui tappeti di note realizzati da Boris Valle e Agostino Macor, e sulla versatilità e potenza della sezione ritmica.
Non conosco per esteso la discografia di Finisterre (ma dopo questo concerto credo sarà obbligatorio aggiornarsi…) e mi sono quindi trovato di fronte a relative novità    ( e spesso i brani vanno riascoltati più volte prima di essere assimilati), ma ciò che ho ascoltato mi ha sorpreso per gusto e freschezza, e ho apprezzato la difficoltà –e il risultato- dell’ “assemblaggio” di trame a mio giudizio molto complicate.
Il pubblico ha sottolineato per tutta la performance il proprio gradimento, arrivando all’apice, nel finale, quando il bravo Stefano Marelli ha accennato all’assolo chitarristico di Hackett in Firth of Fifth.

A seguire qualche minuto di performance… ma per ogni info visitare il sito:





E venne il momento del Tempio delle Clessidre
E’ il gruppo del momento in ambito prog, reduce da un passaggio in oriente e prossimo a un obiettivo importante, quello di suonare negli Stati Uniti.
Seguo il “Tempio…”  sin dagli esordi ed ogni volta che assisto ad una loro performance trovo solo conferme. Energia allo stato puro, originalità, miscela di rock e classico, teatralità e un utilizzo del prog seminale di  cui è portavoce Lupo Galifi, il vocalist che garantisce la corretta liason con gli anni ’70.
Elisa Montaldo sta crescendo con rapidità, e in questo caso parlo di crescita generale di una musicista, che non riguarda quindi solo skills specifiche.
Perfetto l’affiatamento del resto della band, e ho visto talmente tanta coesione da inserire nella sezione ritmica ( non é ovviamente corretto ma serve a fornire l’immagine che arriva dal palco), oltre a Fabio Gremo (basso) e Paolo Tixi (batteria), anche il bravo Giulio Canepa, chitarrista di estrazione classica ma ormai votato al rock.
Il Tempio delle Clessidre ha presentato brani dall’album omonimo, ma anche alcune novità che faranno parte del prossimo lavoro in studio: a fine post propongo un “riassunto” di, solo, un paio di minuti, accogliendo la naturale richiesta del gruppo di non diffondere in rete spezzoni significativi prima del viaggio oltre oceano.
La cosa che personalmente mi colpisce è -lo sottolineo ancora- l’energia, che immersa in un’ambientazione classica, sognante e misteriosa, produce un tipo di musica di forte impatto.
Molto bella anche la coesistenza di suoni, messaggi e gestualità, in evidenza quando, indossate le maschere, si è chiesto al pubblico di lasciarsi andare per cercare le emozioni nel susseguirsi delle note, senza  alcuna  “lettura” dei  volti impegnati sul palco.
Un bella serata di musica, con tutti i distinguo del caso, già sottolineati ad inizio post. Che dire ancora … chi ha mancato l’appuntamento ha perso una buona occasione per una serata da ricordare… in attesa che qualcosa possa cambiare.


News sul Tempio…

martedì 1 maggio 2012

HÖSTSONATEN - The rime of the ancient mariner, Charter One



HÖSTSONATEN è uno dei molteplici progetti di Fabio Zuffanti, musicista genovese di area progressiva.
E’ da poco uscito l’album The rime of the ancient mariner, Charter One, la cui lunga “gestazione” -l’idea risale al 1995- è perfettamente spiegata da Fabio stesso nelle righe a seguire.
Siamo di fronte alla trasposizione musicale del poema di Samuel Taylor Coleridge, iniziata e in parte proposta in due album datati 1996 e 1998 (HÖSTSONATEN e MIRRROGAMES), e ritenuta al tempo insoddisfacente, e quindi momentaneamente accantonata. La voglia di follow up si è manifestata nel 2011, e probabilmente non esiste una ragione particolare  che sostiene la decisione… certe cose si materializzano   senza necessità di ricerca, semplicemente si capisce che è arrivato il momento giusto.
Coleridge descrive una storia  molto lineare ma, raccontando le eccezionali avventure di un uomo di mare nel corso di un suo drammatico viaggio, delinea attraverso allegorie il percorso di una vita comune a molti, stimolando riflessioni che riguardano tutto il genere umano, oggi come due secoli fa.
Il poema è diviso in sette parti è in questo Charter One ne compaiono quattro, oltre al prologo, mentre le restanti tre, e l’epilogo, troveranno spazio nell’uscita del 2013.

La sommaria descrizione di questo nuovo/vecchio  lavoro di Zuffanti è per me cosa complicata, perché il mio gradimento personale potrebbe intaccare l’oggettività con cui dovrei trattare l’argomento. Da tempo ho smesso di cercare i canoni ufficiali della qualità musicale, essendo certo che sia poco importante trovare regole universali, e arrivando a stabilire una sorta di equazione che porta  a far coincidere la buona musica con le emozioni che essa provoca, ovvero una reazione positiva ad uno stimolo fatto di ritmi, note ed atmosfere.
Musicare The rime… è stata cosa, credo, estremamente complicata, e questo sì, è fatto oggettivo.
Trovare musicisti adeguati - non parlo di capacità tecniche ma interpretative- è stato, credo, altresì difficile, ma Zuffanti ha trovato la perfetta fermatura della boucle, passando oltretutto il testimone a differenti vocalist, che forniscono una prova straordinaria.
Ma il sunto è una musica  che, se fosse stata scritta nella prima parte dei seventies, sarebbe ora una piece significativa della musica progressiva, magari accanto a Nursery Cryme, Fragile  e Pawn Hearts. Nascere nel posto giusto al momento giusto, sembra retorica, ma è fondamentale per determinare il nostro destino.
Dal punto di vista emozionale, cioè quello che realmente apprezzo, The rime… lascia il segno, riportando ad un disegno sinfonico, trionfale e sognante che si alterna alla poesia e a voci “penetranti”. Conoscere il contenuto della “ballata”, seguire il testo e ascoltare l’album è una possibile chiave di lettura che permette di entrare in completa sintonia con l’opera. Di più... avere tra le mani la splendida copertina, opportunamente aperta, favorisce l’unione dell’elemento visivo che, unito a liriche e suoni, dona un senso di estrema completezza e consente un piccolo transfert che può durare l’intero album.
E’ sempre poco simpatico il ricorrere a modelli di riferimento passati, ma mi piace sottolineare il mood che mi ha accompagnato nell’ascolto, perché mi ha riportato d’abord  a qualcosa che provai molti  lustri fa quando, ascoltando Nursery Cryme, arrivò il momento di Seven Stones.
Capisco perfettamente - e lo invidio- Fabio Zuffanti quando racconta di aver pianto in un determinato momento del riascolto della  sua creazione, tale era la bellezza dell’ idea, divenuta fatto concreto. Lo comprendo perché ho provato a seguire la sua strada e anche io mi sono quasi commosso: cosa si dovrebbe chiedere di più ad una musica!?
Rock sinfonico, musica progressiva… chissà quante denominazioni si possono coniare per questo album! Io, dilungandomi,  direi…  musica che scuote gli animi e provoca scosse a catena nei più sensibili, anche in quelli che si ritengono immuni da certe reazioni, ritenute erroneamente ”debolezze”.
La proposizione in chiave live non sarà semplice, come Fabio spiega, ma penso dovrebbe essere l’obiettivo primario, un progetto itinerante che, ovviamente, va a cozzare con le attuali logiche che regolano il mondo della musica e della società in generale; il sogno di Zuffanti di portare l’opera oltre confine, laddove certa musica trova forse maggiore apprezzamento, è legittimo e auspicabile.
Il mio sogno è invece quello di vedere aperte, meglio se  spalancate, le porte delle scuole e dei luoghi deputati al trasferimento della cultura, spazi in cui ben pochi sanno dell’esistenza di  HÖSTSONATEN, e forse, anche per loro, trovarsi al posto giusto nel momento giusto potrebbe fare la differenza.

Musica imperdibile!



Fabio Zuffanti approfondisce…

A: Torniamo indietro  di qualche anno. Che cosa ti indusse, nel ’95, a dedicarti alla trasposizione di “The rime…”, qual è l’aspetto che ti ha portato a pensare che, proprio quel poema, avrebbe dovuto avere una vita arricchita dalla musica?

F: Comincio col dire che la scoperta da parte mia del poema di Coleridge risale alla metà degli anni ottanta, nello specifico nel momento dell’uscita di un album degli Iron Maiden che conteneva una loro versione iper-concentrata dell’opera. Questo mi spinse ad approfondire e mi ritrovai a leggere estasiato le fantastiche (in tutti i sensi) liriche del poema. Chi ha avuto la possibilità di leggere tali pagine si sarà sicuramente accorto della grandissima musicalità intrinseca della quale le parole sono dotate. Quando qualche anno dopo pensai al materiale da inserire nel primo album di Höstsonaten (1996) presi quindi a lavorare proprio su una mia versione della prima parte di “The rime…”. Musicai solo tale sezione perché il poema è assai lungo (il tutto consta di sette parti) e già costruire un impianto sonoro su quella, fece scaturire un pezzo di oltre dodici minuti. Decisi quindi, per non occupare troppo spazio nel disco, di musicare una sezione per  volta da inserirle negli album a venire. Cosa che feci in realtà solo per il successivo “Mirrorgames” (1998) che contiene la seconda parte.
A livello compositivo la prima parte di “The rime…” mi fece un effetto incredibile. Ricordo ancora molto bene il pomeriggio d’estate nel quale questo pezzo venne alla luce perché è un momento che si è fissato in maniera indelebile nel mio cuore. Mi misi seduto con il libro di Coleridge aperto e la chitarra in mano e semplicemente cominciai a suonare e a canticchiare le parole del testo. Le melodie e gli accordi cominciarono a scaturire in una maniera così fluida come solo poche volte ho sperimentato. Non vorrei essere presuntuoso ma quello che venne fuori è secondo me una delle mie più belle composizioni e l’emozione che mi diede il crearla è un qualcosa che mi diede una spinta incredibile a livello di soddisfazione personale. Avevo già composto qualche pezzo per i Finisterre, ma con la prima parte di “The rime…” sentii che quello che stava uscendo fuori era veramente qualcosa di speciale, uno di quei momenti rari in cui ti senti realmente toccato dalla grazia. Ricordo che fissai tutto su una cassettina ove eseguivo in maniera più che approssimativa la struttura di base del pezzo, poi andai in spiaggia e mi portai il walkman per risentire il lavoro. Ogni volta che arrivavo all’ascolto della melodia della parte finale “At lenght did cross an Albatross…” mi salivano le lacrime... Penso tutt’ora che sia probabilmente la più bella melodia da me composta.
Le parti vocali della prima e della seconda parte furono affidate al mio collaboratore Claudio Castellini, dotato secondo me di una bellissima voce, quasi “preraffaellita”, che evocava scenari molto antichi di natura letteraria.

A: Che cosa non ti convinse delle due parti che realizzasti nei primi due album di Hostsonaten, visto che abbandonasti il progetto?

F: Purtroppo a mio avviso la registrazione delle due parti (e dei due dischi che le contenevano) non diedero loro la passione e la potenza che pensavo dovessero emanare. Inoltre dopo “Mirrorgames” cominciai a dedicarmi al progetto sulle quattro stagioni, così misi nel congelatore il discorso su “The rime…” e decisi di continuarlo appena terminato il ciclo delle stagioni. Detto fatto, lo scorso anno, al termine del lungo progetto “Seasonscycle Suite” durato quasi 10 anni, ho ripreso in mano il poema di Coleridge e l’ho continuato, stavolta decidendo di dedicare al tutto due dischi completi e, tanto che c’ero, ri-registrare le prime due parti per rendere loro giustizia.

A: Che tipo di maturazione personale, o culturale in genere, ti ha portato a riprendere in mano il progetto? C’è la possibilità di una tua maggior identità rispetto al messaggio centrale proposto alla fine dal vecchio marinaio (il pregare per tutte le creature della natura perché amate da Dio)?

F: Quello che mi affascina maggiorante del poema di Coleridge è la sua natura onirica e un po’ allucinata. Sono un grande appassionato dell’opera di  H.P. Lovecraft e in “The rime…” ritrovo molte delle atmosfere care allo scrittore americano. Il mare, i suoi abissi e i suoi misteri, le presenze sovrannaturali che sembrano quasi provenire da antiche civiltà pre-umane. Questo mi ha ispirato gran parte delle musiche che infatti hanno spesso un atmosfera tesa e dark. Il messaggio finale che citi è il punto d’arrivo dopo tanta oscurità e mi ispira tantissimo a livello musicale perché adoro i finali maestosi e positivi, dopo tanto delirio.

A: L’opera è divisa in sette parti, ma l’album che ho ascoltato ne contiene quattro mentre per le restanti occorrerà attendere una prossima uscita prevista per il 2013. Senza conoscere i dettagli sembra apparentemente strano la frammentazione di un lavoro omogeneo, e una conseguente uscita in tempi differenziati. Puoi illuminarmi?

F: Certamente. Come ti ho detto il poema è formato da sette parti e in ognuna il testo è assai lungo, penso che questo sia l’album più “verboso” che io abbia mai realizzato. Chiaramente è stato inevitabile, anche se ho cercato qua e là di inserire delle parti strumentali che potessero lasciare un po’ di tregua alla continua esposizione vocale. Se avessi musicato anche le restanti tre parti sarebbe per forza di cose venuto fuori un album doppio omogeneo ma forse anche un po’ stancante da ascoltare per intero. Ho quindi deciso di dividere il lavoro in due parti da pubblicare separatamente, per lasciare un po’ di acquolina in bocca a chi ascolta, per non rendere troppo faticoso l’ascolto e anche per permettermi, nel secondo capitolo che verrà, di modificare e un po’ lo stile, i musicisti e cantanti coinvolti e aggiungere elementi che nel primo cd non sono entrati. Sono molto curioso di vedere cosa uscirà fuori, visto che non ho ancora  composto una nota per il nuovo album.

A: Su cosa ti sei basato per la scelta dei differenti vocalist?

F: Il lavoro sulle le parti vocali è stato tutt’altro che semplice. Chiaramente è sulla centralità di tali parti che è basato l’intero lavoro quindi ho sentito una grande responsabilità per operare le giuste scelte. All’inizio avevo pensato di rendere il tutto come fosse un’opera rock affidando a varie voci diversi personaggi. In realtà gran parte della narrazione è affidata solo al vecchio marinaio quindi avrei avuto una sola voce che cantava per l’ottanta per cento e varie altre impegnate in piccole sezioni. In ogni caso pensare ad una sola voce ad interpretare l’intero testo mi sembrava un po’ troppo impegnativo e monolitico per chi ascolta, già abbiamo una sovrabbondanza di testo, se in più il tutto fosse stato interpretato da un solo cantante sarebbe stato ancora più pesante da digerire, secondo me. Ho quindi optato per affidare le quattro parti a diversi vocalist. Per alcuni sono andato sul sicuro scegliendo i miei fidati collaboratori Simona Angioloni (Aries), Alessandro Corvaglia (Maschera Di Cera) e Carlo Carnevali (R.u.g.h.e.), mente ho affidato i due pezzi più “heavy” alle potenti voci di Davide Merletto (in forza ai Daedalus, valente metal-prog band genovese) e Marco Dogliotti (che, tra le altre cose, canta in una cover band dei Deep Purple). Alla fine sono molto soddisfatto delle mie scelte e credo che tutti si siano divertii ad interpretare le sezioni che ho affidato loro.

A: Cosa hai previsto per la diffusione del progetto in fase live? Esistono piani in tal senso?

F: Portare dal vivo un disco come questo è tutt’altro che semplice, in primis perché per rendere il tutto ci vorrebbero almeno 11 persone sul palco tra musicisti e cantanti e poi perché, si sa, al momento gli spazi per i concerti organizzati in un certo modo sono praticamente impossibili da trovare. Detto ciò per presentare l’album sto organizzando degli showcase ove saranno presenti volta per volta, a secondo delle loro disponibilità, alcuni dei musicisti e cantanti che vi hanno partecipato. Si faranno quattro chiacchiere con un presentatore e suoneremo in versione unplugged qualche estratto dal cd. In questi giorni sto organizzando le prime date che presto ufficializzerò, dovrebbero essere già certe il 13 maggio a Savona (Van Der Graaf Pub), 19 maggio a Genova (Record Runners store) e 27 Maggio a Chiavari (venue da decidere). Altre date seguiranno a giugno.

Sarebbe bellissimo in ogni caso cercare di organizzare almeno un concerto “vero” in grande stile, magari in qualche teatro. Vedremo. Vedremo anche come vanno le cose per l’estero. In Giappone il cd è uscito in una versione speciale solo per tale mercato, con bonus disc allegato. Una visitina nel paese del sol levante a conseguenza di ciò sarebbe quindi molto gradita, se per una volta decidono di invitare anche un gruppo “giovane” invece che sempre e solo reduci degli anni Settanta...



Note ufficiali…

Il progetto di Fabio Zuffanti per Hostsonaten è basato sul famoso poema di Samuel Taylor Coleridge The rime of the ancient mariner. Zuffanti concepisce l'idea di dedicarsi ad una trasposizione musicale del poema già nel 1995. Le prime due parti appaiono infatti nei primi due album di Hostsonaten (Hostsonaten, 1996 e Mirrorgames, 1998), ma la realizzazione di queste non ha mai soddisfatto pienamente il compositore genovese che decide quindi di lasciare il progetto in sospeso. Nel 2011, al termine della fortunata tetralogia sulle stagioni Seasoncycle suite, Fabio decide di riprendere in mano il lavoro su The rime… e portarlo a compimento. Il progetto sarà articolato in due cd: il primo, uscito nel 2012, contiene il prologo e le prime quattro parti dell'opera; il secondo è previsto per il 2013 con le restanti tre parti e l'epilogo. Per quello che riguarda il primo cd le due parti già realizzate sono state  ri-registrate interamente. Le parti vocali delle quattro parti sono state affidate a quattro diversi cantanti che hanno cercato di esplorare, interpretare e restituire all'ascoltatore le emozioni oscure e sognanti del poema di Coleridge. L’album è uscito su etichetta AMS Records. I musicisti che hanno accompagnato Fabio sono quelli fidati che lo hanno seguito nella sua avventura delle stagioni, ovvero Maurizio Di Tollo (batteria), Luca Scherani (tastiere) e Matteo Nahum (chitarre), Sylvia Trabucco (violino), Joanne Roan (flauto).

Le voci che hanno interpretato le quattro parti di 'The rime of the ancient mariner - Chapter one' sono:
Part I: Alessandro Corvaglia (La Maschera di cera), con un cameo di Carlo Cralo Carnevali (R.u.g.h.e.)
Part II: Davide Merletto (Daedalus)
Part III: Marco Dogliotti
Part IV: Simona Angioloni (Aries), con un cameo di Alessandro Corvaglia

Tutti gli aggiornamenti sul progetto li potrete trovare sul Facebook di Zuffanti
 e in quello di Hostsonaten